
La Tempesta del Coronavirus.
IN ATTESA CHE IL MARE SI CALMI.
In questi giorni cosí bui per l’emergenza Coronavirus vorremmo tutti fare la cosa giusta, solo che non sappiamo quale sia. Siamo in una situazione di attesa in cui la noia si accompagna alla preoccupazione che a tratti si trasforma in paura. Paura per un nemico imprevedibile e sfuggente che si è abbattuto sulle nostre vite imponendo una brusca frenata alle abitudini e facendo crollare molte certezze.
Associo questo fenomeno ad una tempesta che ci sta mettendo tutti a dura prova sul piano della salute e dell’economia. E come di fronte ad una tempesta abbiamo ognuno un modo diverso per affrontarla: molti, i più, si chiudono in casa ad aspettare che passi, mentre qualcuno – ardito o spericolato - si arma di ombrello e sfida la tempesta.
La parola “tempesta” mi riporta alla mente una statua di particolare suggestione che si staglia sul molo di ponente di Fano, un camminamento stretto su entrambi i lati dal mare dove noi fanesi amiamo fare le nostre passeggiate. Questa scultura, che si chiama appunto “La tempesta”, rappresenta una donna che con un braccio tiene stretto un bambino mentre con l’altro tenta di ripararsi dalla furia del vento. Questa statua ricorda una delle più gravi tragedie della marineria fanese e dell'intera città, quella che avvenne l’8 giugno 1964 dove persero la vita 4 pescatori fanesi.
Questa donna, noncurante del vento, del freddo e probabilmente della pioggia, volge lo sguardo all’orizzonte per cercare di scorgere la barca in cui si trova il suo uomo, sicura che sarà di ritorno, per aiutarlo, anche solo con il pensiero, a ritornare a riva. Questa è la mia interpretazione della scultura, la scena che si apre ai miei occhi quando la guardo. Questa statua è per me la metafora della situazione in cui ci troviamo: la donna con il bambino rappresenta l’umanità che, colpita dalla tempesta provocata dal coronavirus, soffre e cerca di proteggersi con tutte le forze. Ma nello stesso tempo non perde le speranze, guarda l’orizzonte perché sa che prima o poi comparirà la barca...
Associo questo fenomeno ad una tempesta che ci sta mettendo tutti a dura prova sul piano della salute e dell’economia. E come di fronte ad una tempesta abbiamo ognuno un modo diverso per affrontarla: molti, i più, si chiudono in casa ad aspettare che passi, mentre qualcuno – ardito o spericolato - si arma di ombrello e sfida la tempesta.
La parola “tempesta” mi riporta alla mente una statua di particolare suggestione che si staglia sul molo di ponente di Fano, un camminamento stretto su entrambi i lati dal mare dove noi fanesi amiamo fare le nostre passeggiate. Questa scultura, che si chiama appunto “La tempesta”, rappresenta una donna che con un braccio tiene stretto un bambino mentre con l’altro tenta di ripararsi dalla furia del vento. Questa statua ricorda una delle più gravi tragedie della marineria fanese e dell'intera città, quella che avvenne l’8 giugno 1964 dove persero la vita 4 pescatori fanesi.
Questa donna, noncurante del vento, del freddo e probabilmente della pioggia, volge lo sguardo all’orizzonte per cercare di scorgere la barca in cui si trova il suo uomo, sicura che sarà di ritorno, per aiutarlo, anche solo con il pensiero, a ritornare a riva. Questa è la mia interpretazione della scultura, la scena che si apre ai miei occhi quando la guardo. Questa statua è per me la metafora della situazione in cui ci troviamo: la donna con il bambino rappresenta l’umanità che, colpita dalla tempesta provocata dal coronavirus, soffre e cerca di proteggersi con tutte le forze. Ma nello stesso tempo non perde le speranze, guarda l’orizzonte perché sa che prima o poi comparirà la barca...